Agricoltura
La posizione del territorio, favorevole per la salubrità e per la presenza di abbondanti acque sorgive, consente di praticare ancora oggi una ricca varietà di colture a valle (uliveti, frutteti, vigneti, orti) di godere a monte e in collina di vaste estensioni di buoni pascoli, prevalentemente destinati all'allevamento degli ovini e dei bovini.
Il territorio di Oliena si estende su una superficie di oltre 16.000 ettari, di cui circa 4.000, appartenenti al Comune, sono occupati in gran parte dalla montagna calcarea. Il restante territorio, costituito da collina, bassa collina e tratti pianeggianti, ha fatto sì che fin dai secoli scorsi sulle altre attività prevalesse l'agricoltura, intesa soprattutto come semina di cereali, in quanto rimasero per lungo tempo abbastanza limitate le aree destinate alla vite, all'olivo ed agli orti.
Notevole impulso ricevettero comunque anche queste colture ad opera di alcuni ordini religiosi quali i Minimi Osservanti (sec. XVI) ed i Gesuiti (sec. XVII e XVIII). Accanto all'agricoltura si è praticato sempre in maniera rilevante anche l'allevamento del bestiame, per cui la contemporanea presenza nel nostro territorio del pastore e del contadino(1) ha favorito l'affermarsi di una sorta di economia autarchica che ha contraddistinto il paese dagli altri del Circondario.
L'usanza inoltre di destinare alla semina, col sistema dell'alternanza, vaste aree adibite a pascolo, tornava a vantaggio dello stesso allevamento, che poteva usufruire di pascoli più ricchi di nutrimento. Questo duplice volto dell'economia del paese si rifletteva anche nella struttura del nucleo familiare, i cui componenti si dedicavano parte all'allevamento e parte all'agricoltura. Presso le famiglie dei benestanti, ad esempio, erano presenti sia il servo pastore che il servo contadino, «su juvagliu».
L'importanza data all'agricoltura fin dai secoli passati, unita al desiderio di possesso della terra,(1) spiega in parte la graduale frantumazione della proprietà terriera: più una zona è coltivata e più è frantumata. Tale situazione è maggiormente spiegabile se si tiene conto dei provvedimenti legislativi del secolo scorso, citati in precedenza, e di una particolare forma di mezzadria che prevedeva la divisione a metà del fondo bonificato fra proprietario e mezzadro.(2)
I vecchi catasti confermano l'assenza del latifondo e, accanto alla presenza di tanche di modesta estensione, una larga diffusione della piccola e soprattutto piccolissima proprietà terriera.
Quadro questo che va modificandosi continuamente ad opera delle successioni, che avviano un processo di polverizzazione tanto accentuato della proprietà da rendere improduttiva ed antieconomica la coltivazione degli stessi fondi. Infatti, come si può rilevare dai dati dell'INEA del 1947, delle 2685 ditte esistenti, ben 852 possiedono fino a mezzo ettaro di terra, per un totale di soli 176 ettari.
Il sistema economico che siamo venuti delineando, per quanto avesse un carattere autarchico, non era sufficiente ad assicurare benessere a tutti gli strati sociali. L'economia strutturalmente fragile, con metodi di conduzione arcaici e priva di capitali, poteva essere facilmente messa in crisi, da intemperie stagionali, con conseguenti profondi squilibri nel tessuto sociale. I piccoli e medi proprietari, pur possedendo in genere le provviste non disponevano di liquidi e spesso non riuscivano a fronteggiare il gravame delle imposte.
La maggior parte degli addetti all'agricoltura, a seguito della liquidazione dei beni ademprivili che concludeva quel riformismo sabaudo atto a favorire il processo di privatizzazione della terra, era rappresentata da contadini «marronadores» che prendevano in affitto le terre da semina e corrispondevano ai proprietari la quarta o la quinta parte del prodotto. Spesso dovevano acquistare le sementi ad usura e, solo se l'annata era buona, riuscivano appena a procurarsi i mezzi di sussistenza. Molti di essi per avere una minima disponibilità di denaro, si dedicavano alla lavorazione della calce e al trasporto delle merci nei paesi del Circondario col carro a buoi il più delle volte preso in prestito dai possidenti in cambio di prestazioni.
La categoria agricola più diseredata era comunque quella rappresentata dai braccianti assunti a lavorare con una misera retribuzione, per lo più in natura. Le loro famiglie, specie nei mesi invernali, soffrivano il disagio della fame, condivano i cibi col grasso del lardo o con l'olio di lentischio, si nutrivano per settimane di erbe e consumavano pochissimo pane.
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Note
1. «Anno per anno si allarga la fascia bonificata e centinaia di olivastri vengono innestati; qui, infatti, ciò che subito colpisce è l'amore della gente per l'agricoltura. Tutti aspirano a `possederè e chi non eredita e non può comprare in contanti si rassegna a dissodare, irrigare, innestare per conto di altri e su terreni assolutamente vergini dei quali poi avrà la metà come ricompensa... «Dal `Diario di una maestrina» di M. Giabobbe.
2. Fino a pochi decenni fa era largamente diffusa nel nostro paese una forma di mezzadria che appare come un'estensione dei contratti pastorali all'agricoltura: il proprietario affidava, per la durata di cinque anni, la terra da bonificare al mezzadro, che, a bonifica ultimata, acquisiva il diritto di proprietà della metà del fondo.
3. «Tutti inclinano al semiserio, stante che i pastori anche seminano ed i territori sono a sufficienza», da «La visita del viceré Des Hayes in Sardegna, 1770».
Data di ultima modifica: 09/02/2017