ll ritrovamento di Aristeo a Dule
Sorgeva in tempi lontani un paese, in territorio di Oliena, denominato Dule. Secondo un'antica leggenda pare che in un periodo di estrema siccità gli abitanti non trovassero più acqua potabile. Avevano però notato che un maiale si allontanava ogni mattina da Dule e rientrava la sera imbrattato di fango. Segno evidente che nel luogo in cui si sdraiava vi erano delle pozze d'acqua. Un giorno lo seguirono. Il maiale, dopo aver percorso un buon tratto di strada in salita, si fermò ai piedi del monte Corrasi, dove si trovava una bella sorgente d'acqua fresca. Tutti gli abitanti di Dule si spostarono verso la sorgente presso la quale costruirono le prime case di Oliena.
A Dule, nel secolo scorso, fu rinvenuto un bronzetto raffigurante Aristeo. Il canonico Spano così ne riferisce il ritrovamento nel suo "Bullettino Archeologico Sardo" (maggio 1855):
Aristeo a Dule (Testo di Giovanni Spano)
La statuetta che presentiamo fu trovata nel gennajo del 1843 nel villaggio di Oliana, nel salto chiamato Dule, nell'atto che si sarchiavan le fave in una vigna appellata De su Medde. Appena che seppimo d'essersi trovata questa statuetta, ne interessammo il sig. Can. C. Asproni, allora in Nuoro, il quale gentilmente corrispose, scrivendone subito al Vicario Parrocchiale di Oliana, Sacerdote sig. Salvatore Carrus il quale n'era il possessore. Questi con lettera del 27 luglio ci fece sapere il sito, e come venne trovata la statuetta in discorso, ed allo stesso tempo ce ne fece grazioso dono, per cui forma parte della nostra raccolta archeologica. Niente fu trovato insieme alla statua, né in vicinanza alla medesima, da cui si argomenta che ivi non fosse primieramente collocata, e che da molto tempo prima esistesse mutilata, atteso che nelle tagliature presenta l'ossido così ben internato nel metallo che quasi non si distingue dalle altre parti.
Questa statua rappresenta un uomo nudo che ha il corpo coperto di api, in bell'ordine collocate, ed in testa un diadema che sulla fronte tiene due rosoni, o mazzetti di fiori, e termina sulle spalle colle due estremità rannodate, e svolazzanti. Nel ventre tiene due api una per parte, che guardano in sù: in mezzo al petto un'altra, e finalmente due sopra gli omeri che guardano in giù, come per incontrare le compagne. La statua è di qualche bellezza artistica e di buone proporzioni. È un danno che sia monca tanto nelle braccia che nei piedi, perché forse ci avrebbe dato segni più manifesti del personaggio che noi crediamo di rappresentare.
Ammesso che gl'insetti di cui è ornata siano api, non può cader dubbio che la statuetta in proposito rappresenti il benefattore Aristeo. Tralasciando la parte favolosa di questo Eroe della Libia, qui diremo solo quanto sembra convenire alla parte storica, conforme ci tramandarono gli Storici. Secondo Diodoro Siculo, Cicerone ed altri(1) questo Eroe civilizzatore insegnò agli uomini l'arte di rappigliare il latte e di farne il formaggio. Di più insegnò il modo di coltivar gli ulivi e di spremerne l'olio; finalmente insegnò l'arte di educare le api e di costrurre gli alveari, e di trarne il miele e la cera.
Sotto il velo della favola i citati autori che parlarono di Aristeo, ci insegnano che egli viaggiò in diversi paesi, e dappertutto palesò le sue scoperte arrecando grandi benefizii all'umanità. Prima si dice che abbia viaggiato nella Grecia, e che vi abbia preso moglie: poi si ritirò nell'Isola di Ceo che trovò desolata dalla peste, e che ei fece ripopolare, e lasciandovi le sue scoperte, passò di là in Sardegna, e dopo di averla incivilita, insegnandovi l'arte di far il formaggio, l'olio, e più il modo di coltivar le api per averne il miele e la cera, andò in Sicilia, ove pure sparse gli stessi benefizii.
Questo Eroe, civilizzatore dell'Isola, fu onorato come un Dio da per tutto, e specialmente in quest'Isola al pari di Sardo. Particolarmente fu onorato dai pastori, e gli storici dicono che avesse una statua in Siracusa nel Tempio di Bacco. In Sardegna non è rimasta altra memoria di questo Eroe se non quanto generalmente ci raccontarono i sopracitati Storici, ed è da presumere che i Sardi gli siano stati riconoscenti per i benefizii avuti, come lo furono per Sardo. Sebbene però siano andate perdute le sue memorie, non credo che il culto che gli prestarono non sia stato di occasione per aver fatto formare di lui e statue e tempi ed adorazioni. L'unico oggetto che può riferirsi a questo Eroe è la presente statuetta che noi abbiamo preso ad illustrare. Questa figura in sé rappresenta i benefizii che furono fatti ai Sardi, e se intiera ci fosse pervenuta, facilmente sarebbesi potuto ravvisare qualche altro simbolo denotante qualcheduna delle altre opere che fece. Forse nella mano destra avrà avuto qualche ramo di ulivo, ed alla sinistra qualche istrumento che potesse alludere all'arte pastorizia.(2) Per le api non potean meglio esprimersi che presentandole così sparse nel suo corpo, e quella corona che ha in testa non è altro che un intreccio di fiori terminante in mazzetti, forse per indicare la sostanza da cui le api traggono il dolce liquore e nutrimento.
L'essersi trovata questa statuetta nella località come di sopra abbiamo detto, vieppiù ci conferma che non possa essere altro che l'immagine di Aristeo. In nessun'altra Provincia difatti si coltivano a preferenza le api che in quella, e pare che ciò sia una tradizionale memoria dell'arrivo di Aristeo. La fabbricazione della cera è antichissima in quella contrada, e pare che il clima sia il più favorevole per renderla superiore ad ogni altra'.(3)
Le Colonie greche d'altronde si stabilirono meglio nelle parti montuose dell'Isola, e ciò viene in conferma del viaggio di questo Eroe verso quella Provincia, stando a quanto riferiscono gli storici, di esser cioè venuto dalla Grecia direttamente in Sardegna.
Tratto da "Sardegna Mediterranea", anno III, numero speciale, Nuoro 1999
Note
1. V. Diod. Sic. lib. IV. Cicer. De nat. Deor. lib. III, e. 18. Ovid. Fast. lib. s. V, 363. Virgil. Georg. 1 Pausania. Lib. X c. 17.
2. Sarebbe facilissima la restaurazione di questa statua nelle parti che manca per assicurarci che non può rappresentare che Aristeo. Nella destra mano per es. avrà avuto un ramo d'ulivo, e colla sinistra avrà sostenuto qualche attrezzo pastorale che riguarda la formazione del cacio. I piedi posavano sopra un piedistallo di bronzo, oppure saranno stati infissi sopra qualche pietra conica, come si praticava per i dei Lari. V. la nostra Lettera al Cav. Alb. Della Marmora sopra alcuni Lari Sardi in bronzo, ecc. Cagliari, Tip. Naz. 1851.
3. Da questi villaggi, specialmente da Mamojada, si porta la cera in tutta l'Isola, facendone un gran commercio. La bianchezza e la bontà hanno accreditato in ogni tempo le fabbriche di quei commercianti che con modo semplicissimo si fanno a prepararla. Anche la coltura del miele in Sardegna è antichissima. Gli Autori fanno menzione del miele amaro che tuttora si tiene in pregio in alcuni tratti dell'Isola. Orazio (Art. Poet. v. 578) ne parla con disprezzo, ma questo miele amaro che si raccoglie in una sola stagione, cioè nell'autunno per il suo sapore è preferibile al dolce. I pastori delle api dicono che provenga dal pascersi le api in quel tempo del fiore del corbezzolo (olidone). I Romani facevano un gran commercio del miele sardo. Oggi in Sardegna questo genere d'industria è coltivato solo per quanto può bastare ai suoi bisogni, sebbene il clima sia molto adatto alla coltura di questi insetti. V. Della Marmora.
Data di ultima modifica: 09/02/2017