I pisani ad Oliena
Durante il medioevo e nei secoli successivi il flagello della peste, spesso accompagnato in estate da grandi epidemie, si abbatteva sui paesi dell'interno, decimando la popolazione.
Il brigantaggio inoltre, assai diffuso, contribuiva ad atterrire gli abitanti. I villaggi costieri erano spesso sottoposti a scorrerie e saccheggi da parte dei pirati. Per queste ragioni molte "villae" create dai Romani per incrementare l'agricoltura furono abbandonate, e gli abitanti si rifugiarono nei centri che davano maggiore garanzia di sopravvivenza.
Tali centri, durante le lotte fra i giudicati, finirono sotto il diretto dominio pisano o sotto il giudicato di Arborea. Anche Oliena, che prima apparteneva al giudicato di Gallura e alla curatoria di Posada, nel 1300 risulta sottoposta a Pisa.
Sotto i Pisani fu incrementata l'agricoltura e furono sperimentate nuove colture, per lo più sconosciute ai Sardi.
Di solito erano i frati, venuti in Sardegna dopo lo scisma orientale, con le loro aziende modello, a indurre i contadini a nuove coltivazioni. Furono impiantati vari vigneti.
Ad Oliena i Pisani lasciarono impronte di civiltà. Resiste ancora il ponte di Papaloppe, così chiamato dal nome del frate che ne diresse i lavori: para Lopez.
Era un vecchio ponte romano riattivato dai Pisani. I nostri vecchi lo chiamano però "Su ponte 'e sos pisanos".
La ricostruzione del ponte e l'apertura di alcune strade rientrava nel programma di espansione economica di Pisa, che trovava difficile la penetrazione all'interno della Barbagia. Da qui veniva esportato il bestiame e i prodotti caseari, unitamente ai prodotti dell'agricoltura. Si importavano invece le spezie, indispensabili per la conservazione delle carni, e varie stoffe, tra cui il costoso broccato, che Pisani e Genovesi acquistavano dai paesi dell'Oriente mediterraneo. Per questi traffici erano necessarie strade e ponti.
Al periodo della dominazione pisana risale anche la costruzione della chiesa di S. Maria. Non a caso fu così chiamata. S. Maria era la protettrice dei Pisani. Dello stile primitivo ben poco oggi rimane. L'interno appare completamente trasformato. Aveva otto cappelle, quattro per parte, delimitate da archi a sesto acuto. Sei sono state demolite. Ognuna di esse conteneva un grande quadro della scuola di Raffaello. Di questi dipinti due soltanto sopravvivono ancora.
La chiesa era stata costruita al centro del vecchio cimitero che doveva esistere dall'epoca della dominazione bizantina, in seguito al decreto di Giustiniano, il quale stabiliva che i morti dovessero essere sepolti in un luogo comune, consacrato. Prima di allora ogni famiglia seppelliva i defunti nel proprio campo. Ancora resiste il detto "non hada uve lu tuttare!" per dimostrare che una persona è tanto povera da non possedere neppure pochi palmi di terreno in cui poter essere sepolta.
Il campanile della chiesa, a torre quadrangolare, era un tempo sormontato da quattro teste di moro in pietra lavica, aggiunte durante la dominazione aragonese.
La bella chiesa, che troneggiava isolata, al di fuori dell'abitato, forse ricordava agli abitanti troppo frequentemente e con una certa nostalgia il dominio pisano, senza dubbio più liberale e meno esoso di quello aragonese.
Fu forse questa la ragione per cui gli Aragonesi sistemarono sulla torre le quattro teste di moro, cioè lo stemma della città di jaca (antico centro dell' Aragona) , che era riuscita durante una battaglia ella piana di Las Tiendas a catturare quattro capi musulmani, ai quali aveva fatto mozzare la testa.
Testo di Dolores Turchi
Data di ultima modifica: 09/02/2017