Carros

Sappiamo che i Romani nel 179 a. C. inviarono in Sardegna Tiberio Sempronio Gracco, decisi a por fine alla continua guerriglia che gli abitanti dell'interno montagnoso opponevano ai legionari. Feroci cani mastini venivano addestrati a Roma e mandati nell'isola a stanare i Sardi pelliti, indomiti ad ogni giogo. Certo il console romano dovette fare grande strage di Barbaricini se, celebrando il suo trionfo, al ritorno a Roma, fece incidere in una lapide commemorativa di aver eliminato 80.000 Sardi, la maggior parte fatti schiavi. Sicuramente la cifra fu gonfiata per porre in evidenza la bravura del console, ma i Sardi che vennero venduti a prezzi irrisori sui mercati romani dovevano essere davvero tanti se meritarono l'appellativo di "Sardi venales". Continuando l'esplorazione di Carros si individuano presso l'officina alcune costruzioni ellittiche. Non se ne trovano molte nell'architettura nuragica, ne abbiamo però alcuni esempi disseminati in varie parti dell'isola. La tecnica é la stessa delle costruzioni a pianta circolare. Uno dei più importanti nuraghi a pianta ellittica é quello di Bruncu Màdili, nella Giara di Gesturi. L'interno dell'edificio non é chiaro a causa del crollo delle pietre. Si intravede comunque nel lato minore un'apertura quasi nascosta dai massi franati. Tale apertura, per mezzo di un corridoio, doveva condurre alla cella interna alla quale, finché non verranno fatti opportuni scavi, non si può accedere. Le pareti di tutta la costruzione risultano alquanto inclinate, tendenti a formare una cupola.
Saranno di questo tipo le costruzioni ellittiche di Carros? Per ora la pianta si può seguire soltanto dal contorno esterno, poiché dell'interno nulla potremo sapere finché non verranno effettuati regolari scavi.
Dal contorno esterno si intuisce anche una costruzione rettangolare. Sono queste le più caratteristiche nella architettura nuragica e le meno comuni.
Qualcuno, attraverso questo tipo di costruzione, vuole vedervi i tentativi di un graduale e progressivo passaggio dalla pianta circolare alla quadrata.
Dato l'esiguo numero delle costruzioni rettangolari si può pensare che avessero una specifica funzione e che la forma fosse data per distinguerle nettamente dal resto delle abitazioni.
Erano templi?

Il Taramelli asserisce che il tipo di nuraghe rettangolare non si é affermato perché la sua minore solidità non si prestava alla difesa.
Infatti un edificio rettilineo, non legato con malta, é meno solido, a parità di spessore, di un edificio circolare. Risulta inoltre più difficile la costruzione del soffitto. Bisognava ricorrere ad una copertura in legno, destinata col tempo a crollare, costituendo così un elemento di debolezza per tutto l'edificio. Comunque il "nuraghe rettangolare" va inserito nella fase più recente dell'architettura nuragica.
L'unica costruzione rettangolare esistente a Carros é crollata; non resta che la base. Questo convaliderebbe la teoria del Taramelli. Lo sguardo viene attratto dalle crepe che numerose appaiono sulla parete rocciosa, piccole grotte naturali che un tempo erano adibite a tombe. Solo qualcuna é stata ritrovata intatta. A giudicare dalla dimensione di queste tombe e dalla posizione di qualche scheletro in esse rinvenuto con vari frammenti di ceramica, vien da pensare che anche a Carros venisse praticato il rito del legamento della salma. Qualche scheletro aveva braccia e gambe ripiegate sul petto, esattamente nella posizione che assume il feto.
Evidentemente anche i nostri lontanissimi antenati credevano che la vita non terminasse con la morte del corpo. Nella posizione in cui si sta nel grembo materno si doveva stare nel sepolcro in attesa di rinascere a nuova vita. I protosardi, nelle lunghe ore di ozio, vagando dietro le greggi e osservando la natura nel suo perpetuo divenire, il susseguirsi delle stagioni, il sorgere e il tramontare del sole e degli astri come pure il ciclo vegetativo delle erbe e delle piante, dovevano essere giunti alla conclusione che anche l'uomo possiede una vita ciclica non dissimile da quella vegetale.
Una grotta con due aperture soprastanti e due vani comunicanti, distante circa 300 metri dal villaggio, conteneva parecchie ossa umane calcinate e stratificate.
Si trattava di una fossa comune?
Nella prima parte della grotta furono contati venticinque teschi, nella seconda oltre cinquanta. Nessuna traccia però delle suppellettili che normalmente accompagnavano il defunto. Gli scheletri risultavano sparsi a caso, o ammassati alla rinfusa. Erano tombe o piuttosto rifugi dove gli abitanti cercarono scampo davanti ad una improvvisa calamità, restandone invece prigionieri?
In tal caso le due grotte divennero sepolcri involontari!

Ma a Carros, come del resto in altre parti della Sardegna, si sovrapposero quasi certamente diverse civiltà, ognuna delle quali portò con sé un certo bagaglio di usi, riti, credenze varie. Per questo troviamo, accanto a tombe di giganti, "domus de janas" assai più antiche, ove si continuarono a seppellire i morti, scheletri piegati e scheletri distesi o posti su un fianco. E poiché dei teschi rinvenuti nella grotta non si é fatta la prova del C. 14, non é escluso che siano anteriori a quelli ritrovati nei sepolcri veri e propri.
L'imboccatura della grotta "Sa Oche" é monumentale. Par di vedere la bocca spalancata d'un leone incassata sulla parete della montagna. Addentrandosi nella grotta si incontra un primo laghetto, poi un secondo, infine un terzo, più piccolo e profondo, comunicante con la vicina grotta "Su Bentu", così detta a causa della fortissima corrente che provoca un risucchio d'aria. Per percorrerla é necessario attraversare numerosi laghetti sotterranei.
All'interno della grotta "Sa Oche", giunti presso il primo laghetto, nella parete di destra vi é un tempietto, poco visibile a causa della semioscurità.
A prima vista si pensa ad una curiosa concrezione calcarea, ad un bizzarro gioco dell'acqua che in una grotticella naturale ha abbozzato un piccolo tempio, ma al- l'occhio del visitatore attento non sfugge il lavoro fatto da mano d'uomo.
I blocchi sovrapposti che ne delimitano l'ingresso, col tempo si sono saldati a causa del continuo stillicidio, formando intorno alle pietre un'incrostazione tale da far pensare ad un lavoro naturale. Doveva essere il tempio destinato al culto delle acque. Non essendovi altre riserve d'acqua nella zona, ovviamente le donne di Carros dovevano recarsi alla grotta per attingere l'acqua. Ed il culto alla divinità non poteva avvenire che là, davanti al laghetto.
Non sappiamo se durante questi riti si facessero sacrifici di vite umane, ma sappiamo che il nume tutelare della grotta doveva farsi puntualmente sentire ogni anno, d'inverno, con prolungati sibili e forti boati, che si protraevano per alcuni giorni, finché l'acqua, con inaudita violenza sgorgava dall'ingresso della grotta e, spumeggiando, si riversava nel sottostante alveo.
"Sa Oche" per i nuragici era la voce del nume che manifestava la sua potenza in questo modo?
O avevano capito che la grotta, man mano che si riempiva d'acqua, respingeva l'aria infiltrata nei suoi meandri o la imprigionava nei più riposti nascondigli e che la fuoruscita di questa provocava i sibili che essi udivano?
Certo l'acqua, d'improvviso rigurgitata dalle fauci della montagna, doveva costituire uno spettacolo terrificante e avvincente nello stesso tempo.

Testo di Dolores Turchi

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Data di ultima modifica: 09/02/2017

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